Introduzione del ghiaccio - Nascita dei tools

 

Un nuovo articolo in collaborazione tra ebarman, Stir The Flow e Riccardo Marinelli

La tradizione del ghiaccio

Affonda le sue radici già nel IV secolo a.C., quando i previdenti persiani costruirono la yakh-chal, letteralmente “fossa del ghiaccio”. Si trattava di una struttura a forma di cupola con un vano sotterraneo protetto da una spessa parete termoresistente, usato tutto l’anno per stoccare il ghiaccio e, ovviamente, il cibo.

Invece i Romani inventarono le neviere, ovvero magazzini di stoccaggio dei blocchi di neve, sopravvissute fino all’età moderna e che, a partire dal Cinquecento, diedero vita ad un fiorente mercato in Italia.

Ma fino alla metà del XIX secolo, per procurarsi del ghiaccio bisognava montare in sella ai cavalli con un carretto, scalare montagne, attraversare laghi e stagni ghiacciati e scavare vari strati di neve fresca fino ad arrivare al ghiaccio. Tagliarlo a mano con un’accetta o una sega, issarlo sul carretto, collocarlo all’interno di cave ricoperte di paglia, scantinati o pozzi coperti, e sperare che l’estate non sarebbe stata troppo calda.

Nel 1805 Frederic Tudor  iniziò a elaborare un piano e decise di investire tutti i suoi risparmi in un brigantino: il Favorite. Qualcuno gli parlò di un tale Thomas Moore, che due anni prima aveva inventato un marchingegno con cui i contadini del Maryland potevano trasportare il burro senza scioglierlo fino a Washington D.C. Si trattava di un frigorifero rudimentale: una tinozza di legno, rivestita da una lastra di metallo e imbottita di pelliccia di coniglio, da riempire poi con il ghiaccio, in mezzo al quale  andavano stoccate le riserve di burro.

Tudor documentò la sua missione nel Diario della Ghiacciaia, ecco la sua prima annotazione:
“Piano per trasportare ghiaccio nel Clima Tropicale. Boston, Agosto 1805. William e io abbiamo deciso in questi giorni di mettere insieme le nostre proprietà e lanciarci nell’impresa di trasportare ghiaccio nelle Indie occidentali l’inverno prossimo”.

Così il Favorite salpò nel 1806 dal porto di Boston trasportando 130 tonnellate di ghiaccio nelle apparecchiature di Moore. Un mese dopo, quando raggiunse la Martinica, si presentò il primo ostacolo: a terra non esisteva una cella frigorifera in cui depositare il carico. Il ghiaccio fu così venduto direttamente dalla barca, e non abbastanza in fretta: i progetti di Tudor evaporarono nel nulla, letteralmente, ma Tudor era un tipo tenace e ci provò ancora, facendo pochi soldi e molti debiti, e finendo anche in prigione per qualche tempo.

Intorno al 1815 riuscì a mettere insieme duemila dollari, che investì in una grossa cella frigorifera all’Avana in grado di contenere 150 tonnellate di ghiaccio. Braccato dai creditori, Tudor decise di rifugiarsi a Cuba e lì iniziò la sua avventura come “Re del ghiaccio”.
Fece affari in alcune città del Sud - Charleston nel South Carolina, Savannah in Georgia e New Orleans in Louisiana - offrendo la consegna regolare di ghiaccio alle famiglie con un abbonamento mensile di 10 $.
Migliorò i sistemi di isolamento sulla nave e nella ghiacciaia, ne costruì altre in punti strategici per il suo mercato, e fece crescere la domanda per bevande fresche in ogni porto.
Gli affari di Tudor andavano alla grande: nel 1825 spediva oltre 4.000 tonnellate di ghiaccio all’anno e inventò, insieme al nuovo socio Nathaniel Jarvis Wyeth, anche un metodo per tagliarlo imbrigliando i cavalli ad una lama di metallo.

Tudor riuscì quindi a renderlo facilmente reperibile in tutti gli Stati Uniti, un bene alla portata di tutti, come raccontò Gavin Weightman nel suo The Frozen-Water Trade:
“I visitatori di Boston, New York, e di altre città sulla costa orientale degli Stati Uniti non potevano non notare che in estate c’era un’enorme quantità di ghiaccio ovunque, e che quella che era ancora una rarità e un grande lusso sull’altra sponda dell’Atlantico era considerata una comodità essenziale in America. Nelle strade c’erano carretti con del ghiaccio che lo consegnavano agli hotel e alle abitazioni, con le ormai tipiche figure di uomini del ghiaccio che portavano blocchi di cristallo gocciolante su per le scale e negli ingressi delle case con le loro pinze per ghiaccio. L’acqua era bevuta sempre fresca, e c’erano molti drink che avevano il ghiaccio tritato come ingrediente imprescindibile, come lo sherry cobbler o i mint julep”.

L’introduzione del ghiaccio nei bar

Nel 1830 si dava a chiunque la possibilità di raffreddare il proprio drink, non solo ai ricchi.

Nel 1842 un pretendente al trono del Re del Ghiaccio, Jacob Hittinger, si garantì i diritti della raccolta del ghiaccio in Massachusetts. Aveva appena fondato la Gage, Hittinger & Company di Boston, lui però puntava a conquistare Londra, non l’America o i Caraibi. Hittinger spedì ghiaccio attraverso l’imbarcazione Sharon, accompagnato da un paio di bartender americani che insegnassero come preparare i cobbler, i julep, gli smash e i cocktail.
Il ghiaccio divenne la novità più alla moda anche in Europa, venendo  impiegato per le bevande, per la conservazione dei cibi e a scopi e medici.

Un altro passo cruciale nella conquista del freddo fu l'invenzione del frigorifero ad opera di John Gorrie nel 1851 - prima di lui solo Oliver Evans nel 1775 riuscì a ghiacciare artificialmente una massa d'acqua.
Il frigorifero rudimentale di Gorrie determinò il superamento delle tecniche tradizionali di conservazione (per salagione, per essiccazione, ecc.) che alteravano le qualità nutrizionali e organolettiche degli alimenti. Con la conquista del freddo, invece, si riuscivano a trasportare e conservare i prodotti per lunghi periodi mantenendo pressappoco invariata la qualità del cibo.

Tornando al bartending, l’introduzione del ghiaccio permise di sperimentare nuove miscele: i Julep, gli Smash, i Sour e i Cocktail affiancarono e superarono punch, Egg Nog, Flip, Skin, Toddy etc.

Protagonista di questa rivoluzione, il ghiaccio divenne il pretesto dei membri del Movimento della Temperanza per arginare la diffusione del consumo di alcolici. Veniva messo nelle bare dei defunti per conservare a bassa temperatura le salme durante veglie e funerali.
Dato che le veglie si tenevano spesso in casa ed erano spesso un’occasione per bere, i proibizionisti inventarono storie di inservienti domestici che prendevano il ghiaccio dalle bare per preparare i cocktail o di proprietari di taverne e mercanti senza scrupoli che andavano dietro le chiese a recuperarlo sottoterra dopo i funerali. Questi racconti apparvero in numerose testate XIX secolo, ma non riuscirono comunque a limitare il consumo di alcol o l’utilizzo del ghiaccio nei drink.

I primi e grandi bartender dell’epoca poterono quindi disporre di grandi quantità di ghiaccio, l’ingrediente che trasformò la miscelazione portandola allo splendore più assoluto. Lo stesso Jerry Thomas riassumeva così la situazione per la preparazione dei suoi cocktail:

 “Come regola generale, il ghiaccio va utilizzato tritato quando il liquore ha nel drink una dose preponderante e non è prevista l’aggiunta di acqua. Quando sono invece presenti uova, latte, vino, vermouth, soda o acqua gasata, è preferibile servirsi di piccoli cubetti che saranno poi rimossi dal bicchiere un attimo prima di servire il drink”.

Gli strumenti per il ghiaccio

Mentre agli albori della miscelazione c’era bisogno solo di un coltello, un colino per i semi, una grattugia per la noce moscata, un set per il punch e l’emblematico Toddy stick - per intenderci, metà pestello, metà cucchiaio - ora bisognava inventare strumenti adatti al nuovo ingrediente.
Vennero introdotti gli accessori per il ghiaccio come ice picks (per rompere i blocchi di ghiaccio in pezzi più piccoli), coltelli, pinze, cucchiai e sacchetti.
Su consiglio dei dentisti, le cannucce divennero di uso comune per tenere il ghiaccio lontano dai denti.

Non ci volle molto poi per capire l’efficacia dello shakerare un drink con il ghiaccio per raffreddarlo.
Così, nel 1852, Charles Astor Bristed descrive la preparazione di uno Sherry Cobbler:
"Con uno dei bicchieri di riserva coprì l’imboccatura del tumbler che conteneva il composto e agitò il cobbler per una dozzina di volte’’.

I miscelatori capirono che agitare il drink era non solo efficace, ma anche divertente e scenico e così nacque la prima forma di shaker - sicuramente non in acciaio - che fu introdotto solo qualche anno prima del Proibizionismo.

Considerando che non a tutti piaceva l’idea di bere il drink da una cannuccia lasciandolo a contatto con il ghiaccio, come si può notare in alcune ricette della Bartender’s Guide di Jerry Thomas, le bevande iniziarono ad essere servite filtrandone il ghiaccio.

All’inizio per mantenere il ghiaccio nel mixing glass venne utilizzata l’altra parte dello shaker, poi capirono che si poteva sostituire il bicchiere con una posata forata: lo sugar snifter.

Infine nel 1860 vennero brevettati i julep strainer, così chiamati perché inizialmente venivano utilizzati nel servizio del Julep per permettere al cliente di berci attraverso.

Oltre alle attrezzature vennero aggiornate anche le tecniche e le guarnizioni: i drink divennero più fancy con l’introduzione di frutta fresca, e più ricercati grazie agli sciroppi e i nuovi liquori provenienti da Italia e Francia.

Nell’età classica della mixology (1880 - anni 20 del 1900) vennero introdotti  gli shaker come li conosciamo oggi; strainers e glassware più sobri partecipano all’essenza del drink stesso.

Nel 1884 si diffuse il primo degli attuali tool, conosciuto oggi come shaker a tre pezzi, seguito dallo strainer, che nel 1889 si affinò nel Hawthorne strainer, caratterizzato da una molla che permette di adattarlo a qualsiasi tipo di bicchiere.

Il Toddy stick si evolse nel muddler, fu introdotto lo spremilimoni e i jigger in metallo sostituirono i bicchierini da sherry. Questi ultimi erano inizialmente un unico cono sostenuto da un’asticella e nel 1892 fu brevettato l’attuale doppio cono. Insieme al jigger vennero introdotte le bottiglie per i bitter con i tappi dosatori.

I drink venivano preparati seguendo ricette precise, in cui le unità di misura intendono quantità diverse da quelle che conosciamo perché, ad esempio, cucchiaini e wineglass avevano misure differenti.

  • 1 quarto (Imperiale) = 40 oz
  • 1 quarto (Vino) = 32 oz
  • 1 Bottiglia = 24oz (0,70 l) mentre gli Champagne Francesi venivano importati in bottiglie da litro (quarti) e mezzo litro (pinte)
  • 1 pinta (Imperiale) = 20 oz ; ½ pinta (Imperiale) = 10 oz
  • 1 pinta (Vino) = 16 oz ; ½ pinta (Vino) = 8 oz
  • 1 wineglass = 2 oz
  • 1 jigger = 1 wineglass, in seguito 1½ oz
  • 1 pony = ½ wineglass o jigger, 1oz
  • 1 tablespoon = ½ oz
  • 1 teaspoon = ½ tablespoon

Riguardo ai bicchieri, prima dell’età classica se ne contavano poche tipologie, ma nel 1884 la G. Winter Brewing & Co. di New York mise a punto una guida di bicchieri necessari per i saloon:

“Bicchieri da Champagne, Claret, Porto, Sherry, e Vino del Reno; bicchieri da cocktail per Champagne e per Whiskey, bicchieri da Julep e Cobbler, Assenzio, Pony Brandy, Acqua Calda, John Collins’’.

Non meno importanti, al cambiamento degli attrezzi seguì quello dei distillati: il brandy ebbe il suo declino per via della filossera e venne sostituito dal whisky americano e scozzese; il gin secco sostituì quello di malto olandese come il rum cubano, più leggero, sostituì quello giamaicano; comparvero Mezcal, Tequila e il vermouth. 

Entro gli anni Venti tutte le tecniche e i principali ingredienti vennero affinate e definite, facendo strada al bartending del nuovo millennio.

Per l'approfondimento

Continueremo a parlare dell’argomento all’inizio del prossimo articolo e vi lasciamo di seguito alcuni punti utili per l’approfondimento personale di quanto discusso finora.

  • 1783 - 1830 età arcaica;
  • 1810/20 popolarità di Punch, Mint Julep, Cocktail;
  • 1830 inizio età barocca (nascita di Jerry Thomas); introduzione del ghiaccio  nei drink;
  • 1848 George Foster cita una sorta di shaker in un suo reportage;
  • 1852 Bristed testimonia in un testo sulla preparazione dello Sherry Cobbler l’utilizzo di prototipo di shaker;
  • 1856 prima testimonianza dell’invenzione del termine mixology in un humor piece di Charles Leland ;
  • 1860  brevetto dello Julep strainer;
  • 1862 Jerry Thomas descrive l’utilità dello shaker;
  • 1868 il giornalista George Augustus Sala descrive per la prima volta un Cobbler shaker;
  • Anni 70 effettiva diffusione del termine mixology;
  • 1880 inizio età classica (fino agli anni Venti);
  • 1884 introduzione shaker a tre pezzi; G. Winter Brewing & Co pubblica guida ai bicchieri per i saloon;
  • 1885 fine età barocca (morte di Jerry Thomas);
  • 1889 introduzione Hawthorne strainer;
  • 1892 brevetto jigger a doppio cono;

Nel corso di tutta l’età classica toddy stick > muddler; bicchierini da sherry > spremilimoni e jigger; bottiglie da bitter con tappi dosatori; sostituzione dei distillati.

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Pubblicato in: Ricette Cocktails

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